Selfie, ergo sum
Se il copia&incolla è l'ABC del linguaggio fesbucchiano, è il selfie a costituirne l'architrave. Prima dell'avvento dei social network, le foto trovavano posto in un album e dormivano lì, destinate ad essere riesumate per l'arrivo di un lontano parente o quando si trattava di scegliere l'immagine da destinare al loculo del caro estinto. Sì, qualcuno arrivava a convertire le foto in diapositive e ci costringeva a vederle in epici dopocena ma tutto si chiudeva dopo un paio d'ore di composti sbadigli. Ora no. All'ombra della Grande Effe Minuscola si sfila in passerella 24/7. Al punto che anche quando il selfie non c'è, se ne parla. Ci sono affollati gruppi che trascorrono il tempo a proibirli al punto che hanno fatto dei selfie il loro unico argomento di discussione. Paradossalmente, nel negare la pubblicazione di foto personali le sublimano fino ad un'efferata forma di pagana adorazione. Non ci fossero stati i selfie, sostanzialmente non saprebbero di che parlare. Intendiamoci...non sono ideologicamente contrario alle foto personali e - oltre a rilevarne gli eccessi - mi scopro a volte divertito voyeur di certe acrobatiche realizzazioni. Nemmeno intendo entrare sulle ragioni psicologiche che muovono attempati uomini e donne a proporre con tanta insistenza i loro vissuti volti al mondo. Semmai inviterei i più giovani - che mi ostino a pensare più saggi dei loro genitori - a non aderire a certi fotoprofilati "combo" che li vedono effigiati con le loro mamme e i loro papà. Da parte del vecchio c'è l'ovvio tentativo di ricavare un qualche benefico osmotico rilascio di giovin linfa, ma l'effetto comparativo è il più delle volte severo: le rughe diventano degli autentici canyons. Tralascio per sintesi anche i professionisti del ritocco grafico: gente che da quando ha scoperto che Photoshop costa meno delle cremette spende il suo tempo a limare di cesello le ovvie asperità dell'epidermide. Il risultato è spesso più imbarazzante che la foto originale, con il pasticciato faccione che resta lì a galleggiare avvolto in una patina retrò dagli indefiniti contorni. Va riconosciuto però che il 40/50enne-e-oltre non ha particolari colpe per queste sue virali apparizioni. In realtà quel che si sviluppa intorno alla sua torrenziale produzione di pixel è un meccanismo ad un tempo perverso ed innocente. I selfie rimbalzano per il pianeta, ma a commentarli sono complici amicizie. Allora è un trionfo di lodi sperticate anche di fronte "a una faccia che ricorda il crollo di una diga" (cit. F. De Gregori, Atlantide). Va da sè che il complimento va reso perchè poi quando sarà il tuo turno di postare un selfie ne dovrai ricavare anche tu tonnellate di lusinghe, in un perpetuo loop di somministrazione di potenti siringoni di autostima. E se è vero che l'amicizia ci imporrebbe di arginare certi eccessi, va riconosciuto che alla fine prevale sempre la più caritatevole delle omertà. Ma l'apoteosi del selfie avviene nelle adunate, quando si addensano nello stesso scatto un pò di queste tormentate anime. In quei casi i "sei bellissima" toccano accenti così elevati che se spuntasse Beyoncé sullo sfondo la tratteremmo come un'insipida cozzetta. Tutto sommato, il selfismo della mezza età è la pacifica riduzione delle follie visionarie del bunker di Berlino. Se da lì Hitler muoveva febbrile le sue ormai inesistenti armate, nel claustrofobico mondo di Fesbucco ognuno sventola i suoi residui brandelli di fascino.