Io, Noi.
Dovessi chiedervi a bruciapelo qual è la più breve poesia mai scritta, sono sicuro che in tanti rispondereste con il "M'illumino d'immenso" di Ungaretti. Sbagliato. La poesia più corta è di Muhammed Alì nato Cassius Clay, uno dei campioni sportivi più celebri di sempre. Già sofferente del Parkinson che lo ho accompagnato per anni e fino alla morte, l'ex pugile si presentò ad una conferenza all'Università di Harvard e con la voce incerta disse agli studenti intervenuti solo due parole: "Me, We". "Io, Noi". Un quarto d'ora di applausi. Dietro l'apparente semplicità di quel messaggio, c'è la sintesi dell'intera esistenza di Alì. Oggi 17 gennaio avrebbe compiuto 75 anni. Provate a scusarmi se esagero nel collocarlo tra le più grandi figure del Novecento, tra quelle personalità che hanno segnato in modo positivo il "secolo breve", non me ne voglia gente come Gandhi, Mandela, Madre Teresa, Sabin. In un'epoca come la nostra, dove i modelli comportamentali sembrano massificati in un grigio conformismo, l'esempio di Muhammed Alì diventa se possibile ancora più prezioso. Seppe rinunciare al trofeo sportivo probabilmente più ambito, quello di detentore della corona mondiale dei pesi massimi. Lo fece con il suo rifiuto di andare a combattere in Vietnam, costituendo un simbolo per gli afroamericani, per il movimento pacifista e per le battaglie per i diritti civili negli USA. Si espose in prima persona ed in prima persona pagò per le sue idee. Ecco, quel "Io, Noi" è proprio questo. C'è tutta la forza di chi non ha mai separato la propria esistenza da quella degli altri, di chi ha saputo interpretare il suo ruolo mediatico come autentico 'testimonial' per un generale miglioramento delle condizioni di vita e delle libertà individuali e collettive. Happy Birthday, Campione. Vola come una farfalla, pungi come un'ape.