L'Itaglia che siamo
L'avvento dei social network va producendo un fatto epocale nelle abitudini degli italiani. Per la prima volta nella loro fresca storia unitaria, gli italiani stanno scrivendo. O almeno, provano a farlo. Vent'anni fa limitavano la loro produzione all'agenda o alla lista della spesa, insomma "ore 18 appuntamento dal dentista" o "un chilo di melanzane" era tutto quel che ne usciva. Ora su Fesbucco compongono qualcosa di più, ma non voglio spendere righe per giudicarne la forma e la sostanza. Non è di questo che vorrei provare a ragionare. Mi appendo invece al fatto in sé, sic et simpliciter. Gli italiani scrivono. Un linguista come Tullio De Mauro ne sarebbe stato avido lettore, oggi invece mi sembra di cogliere poca attenzione su questo fenomeno. Lo studio dei social network si ferma all'analisi dei comportamenti sui consumi, all'approccio socio-psicologico o deborda sulle effimere secche del gossip. Invece no, c'è dell'altro. Sgombrato il tavolo dai caffè buongiornisti, dalle acca scippate, dalle poesie copiate, ci sono milioni di storie da leggere in trasparenza. È tempo di accordare a tutti questi uomini e queste donne una dignità aprioristica e senza condizioni. È ora di riconoscere in questo gigantesco fenomeno di massa la sua matrice genuinamente popolare. Lascio ai salotti buoni le facili critiche, io dico che - piuttosto che tenersi da parte con la camicia pulita - è meglio "sporcarsi le mani" ravanando nel barile dell'Itaglia che siamo.