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Uno vale uno, o quasi.


I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel" . Così Umberto Eco fotografava la Babele digitale che segna la comunicazione fesbucchiana. Difficile dargli torto.

In qualche modo, i social network rappresentano il trionfo di quella teoria dell' "Uno vale Uno" che da un pò di tempo va irresistibilmente segnando la politica nazionale. Uno vale uno. E' lì a dire che ognuno può dire la sua, ognuno ha capacità di decisione, ogni voce ha la stessa autorevolezza. Di per sè, parrebbe una dilatazione del concetto di democrazia. Démos e krátos, potere e popolo compiutamente saldati a 2500 anni da Pericle. Quasi vien da commuoversi, nevvero. E invece no. C'è un animaletto che mi rode dentro, quando tutto appare troppo facile e troppo scontato. Un pò quel che accade a Edward G. Robinson in "Double Indemnity" quando si trova a liquidare la polizza-vita di una fresca vedova troppo bona per essere innocente. Quell'animaletto continua a ricordarmi le parole di Eco ... ed allora quell' "Uno vale Uno" non solo non funziona, ma diventa addirittura pericoloso. Anche il più distratto frequentatore di Facebook non può non avvedersi del generale pressapochismo che attraversa quella piattaforma. Sgrammaticati dispensatori di ovvietà, compulsivi seminatori di sciocchezze, prof del copia&incolla si ergono a maître à penser. La piazza telematica è una agorà di frasi fatte e di sciatto populismo ... se una macchina del tempo ce li restituisse ai nostri giorni, Salvemini e Gramsci finirebbero bannati dal primo analfabeta che bofonchia "l'Itaglia ai itagliani". Uno vale uno. E sia. Ma non computatemi nel numero. Toglieteci dal mucchio, a me e all'animaletto che mi rode dentro.

© RADIO BELLA ETA'

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