Lacrime senza passaporto
Faccio sempre fatica a comprendere un cordoglio che fruga nel passaporto di chi muore. Oggi TV giornali e social media tutti a piangere Antonio Megalizzi, questo giovane giornalista trentino ucciso a Strasburgo, ma non leggo una riga per gli altri che hanno perso la vita in quella stessa, tragica sera. Non una foto del 60enne padre di famiglia 'strasbourgeois' e del turista thailandese, non una riga per l'afgano che lavorava come garagista. Ho dovuto faticare non poco per ritrovare i loro nomi e solo sulla stampa francese ho rintracciato qualche informazione. Kamal Naghchband era musulmano, aveva 45 anni ed era un profugo afgano che aveva trovato asilo in Francia vent'anni fa. Il fatto che abbia trovato la morte nel cuore di quell'Europa che gli aveva dato rifugio è un segno di questi nostri tempi impazziti, di questa epocale abdicazione del Vecchio Continente da ruolo di custode dei migliori valori. Ricordare lui insieme agli altri, insieme al nostro ragazzo, significa almeno riaffermare questa nostra comune storia, questo nostro essere europei e quindi cittadini del mondo. Perché sento di poter dire che questo è il miglior modo di onorare la memoria di Antonio Megalizzi. Perché le lacrime di una mamma italiana non sono diverse da quelle di una mamma thai, francese o afgana. Perché mescolare in queste ore le nostre tristezze significa ritrovare insieme, al di là dei passaporti, la nostra dignità di donne e uomini.