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"Il Grande Torino è soltanto in trasferta"


Poche cose di sport riescono ancora a far breccia in questo mio attempato cuore avvizzito dagli anni, perché il tempo inevitabilmente intiepidisce gli entusiasmi e stempera le emozioni. Ma da sempre, già nelle mie prime adolescenziali passioni, conservo due immagini che ogni volta inumidiscono questi miei occhi di uomo. Una è Fausto Coppi, l'altra è il Grande Torino. Dei campioni granata oggi ricorre il triste anniversario dello schianto di Superga. Sono passati 70 anni da "Quel giorno di pioggia" , per citare il bellissimo tributo musicale dei Sensounico. Eppure, a dispetto del tempo trascorso, il mito del Grande Torino sopravvive. Provo a domandarmene il motivo, mentre penne più autorevoli della mia oggi vanno omaggiando quella invincibile squadra. Ad aiutarmi c'è il fatto che anche per Coppi, anche per il Campionissimo, finisco ogni volta per turbarmi quando ne incrocio le immagini. Eppure l'anagrafe mi ha impedito di essere testimone diretto delle loro gesta. Perché mi emozionano tanto? Cosa unisce questi sportivi, al di là della loro prematura scomparsa? Annaspavo alla ricerca di una risposta, quando l'ho trovata in una mostra fotografica che si sta tenendo al Maxxi di Roma. Negli scatti di Paolo di Paolo, nel "Mondo Perduto" che dà il titolo all'esibizione, sfilano i volti dell'Italia degli anni '50, gli occhi ancora segnati dalla guerra ma pieni di speranza. Ecco, il pensiero per Fausto Coppi e il Grande Torino mi commuove per questo. Quella maglia bianca della Bianchi, quelle maglie granata, hanno restituito dignità ad un Paese che usciva affamato e lacero dalla guerra e che ancora non aveva finito di contare i suoi morti tra le macerie dei bombardamenti. Con le loro vittorie, questi sportivi hanno infuso coraggio in un popolo ferito nelle carni e nell'anima. Sento di non esagerare se scrivo che annunciarono e promossero la riscossa morale e la stessa rinascita economica degli Italiani. Se mi emozionano fino alle lacrime è perché sento che a loro gli devo, gli dobbiamo tanto e che, come accade per i capolavori dell'arte, sopravvivono al tempo. Aveva proprio ragione Indro Montanelli quando, all'indomani di Superga, scrisse: "Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto «in trasferta»"

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