La libertà ai tempi del coronavirus
In queste terribili settimane c'è stato un appuntamento televisivo che ho sempre cercato di seguire: la conferenza stampa delle 18 trasmessa dalle sede della Protezione Civile. Dal 22 febbraio, tutti i giorni, il commissario per l'emergenza coronavirus Angelo Borrelli si è presentato di fronte alle telecamere per aggiornarci sullo stato delle cose, per darci quotidianamente i numeri terribili dei contagi e dei morti. Oggi quella conferenza stampa non ci sarà e dalla prossima settimana ce ne saranno solo due alla settimana. E' un primo indice che stiamo uscendo dalla fase più drammatica della pandemia, ma vorrei soffermarmi ancora un momento su quella conferenza stampa. Confesso che il mio stato umorale durante questa crisi subisce regolarmente un colpo ferale al termine di questo appuntamento televisivo e le mie serate sono state spesso dense di apprensioni dopo le comunicazioni di Borrelli. Eppure, ogni volta, ho ricavato un elemento di orgogliosa fiducia da quelle trasmissioni, dalle parole della Protezione Civile e dell'Istituto Superiore di Sanità, dalle domande senza filtri dei giornalisti. Mentre dall'Ungheria alla Bielorussia spuntavano i ducetti dei pieni poteri, nel pieno dell'emergenza io non ho smarrito mai la nitida percezione di vivere in un Paese che garantisce la libertà di parola e di informazione. Quando la centrale nucleare di Chernobyl liberò nell'aria la sua nuvola di morte, i telespettatori dell'allora Unione Sovietica si guardarono increduli fra loro: per la prima volta si dava la notizia di una tragedia senza censure. Fu l'annuncio che Gorbaciov faceva sul serio e che il regime aveva i giorni contati. Oggi la conferenza stampa delle 18 non ci sarà, ma è servita anche quella a ricordarci che la libertà è una conquista che va difesa, amata e ogni tanto anche festeggiata. C'è un 25 aprile in agenda.