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Ripartiamo tutti, o quasi.


Ripartiamo. Continuiamo a dircelo l'un l'altro, come per un mantra liberatorio. Mi unisco anch'io a questo generale coro ma, nel ripartire, sarebbe bene valutare un po' come siamo stati fermi. E se per tanti esercizi commerciali e unità produttive la forzata quarantena è stata una jattura, c'è chi ha provato a lavorare in queste settimane. Alcuni mettendo in campo le loro capacità imprenditoriali, altri combinando casini. Il mio papà diceva che "lavorare bene e lavorare male vogliono lo stesso tempo" e ho sempre fatto tesoro di questa massima, specie nell'eccezionalità di questi tempi. Come sapete, il lockdown ha imposto a molte aziende la vendita on line ... beh, c'è chi ha saputo farlo e c'è chi invece ha fornito miserrime prove. Mi spiego meglio con qualche esempio. Una piccola azienda dell'hinterland napoletano, nell'impossibilità di soddisfare per intero ad un mio ordine, mi ha chiesto se volevo pazientare fino all'arrivo della merce restante o se invece intendevo incassare un rimborso; quando gli ho fatto sapere che preferivo avere i soldi indietro me li sono ritrovati accreditati in 24 ore sul mio conto. Vengo adesso alla grande società francese specializzata in bricolage. Fare il nome non servirebbe, meglio farne nome e cognome: Leroy Merlin (pronuncia: leruà merlen). Un mese e un giorno fa ordino quasi 100 euro di roba che mi dicono disponibile presso un loro punto di vendita, pago mannaggia-a-me e mi reco lì per il ritiro, macinando chilometri in una Roma sigillata dal lockdown. Arrivo lì e trovo un quarto della merce ordinata (e pagata mannaggia-a-me). Dal 28 aprile aspetto un rimborso o l'arrivo del resto dell'ordine. Niente. Stamattina gli ho scritto di posta certificata, ma se date un'occhiata alla loro pagina Facebook è un ciclopico cahier de doléance (lo scrivo in francese, mentre ascolto in loop la telecronaca di Caressa del rigore di Fabione Grosso). Infine, è notizia di oggi che Uber Italy è stata commissariata. Sembra che i pischelli che vediamo trasportare il cibo per conto di quell'azienda americana siano pescati tra i centri d'accoglienza per i migranti e tra i richiedenti asilo. Ragazzi sottopagati, sfruttati e vessati peggio che alla raccolta dei pomodori. Dice, ripartiamo. Va bene, ma io penso che qualcuno è meglio che resti fermo. Magari in tribunale e seduto davanti a un giudice.

© RADIO BELLA ETA'

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(registraz. Trib. di Roma n. 45/2016 del 9 marzo 2016)

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