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Domani è un altro giorno


Noi l'abbiamo sempre chiamata Guerra di Secessione, ma per gli americani è la Civil War, la guerra civile. Parlo del conflitto che, tra il 1861 e il 1865, ha opposto gli Stati del Nord a quelli del Sud della giovane Repubblica d'oltreoceano. La guerra provocò più di 700mila morti, un numero che da solo supera la somma di tutti i caduti americani nelle successive guerre.

Guerra civile, dunque. Il fatto che sia avvenuta quasi un secolo dopo la dichiarazione d'indipendenza e la proclamazione di una Costituzione che - unica al mondo - parla del "diritto alla felicità" delle genti, deve solleticare qualche riflessione. Perché significa che la storia degli USA ci fa sfogliare insieme 'melting pot' e segregazione, inclusione e divisione, KKK e MLK. Quel Paese nasce e cresce con uno 'strabismo' che gli fa conoscere la cupa atmosfera maccartista e lo slancio libertario delle proteste studentesche degli anni '60, il "Birth of a Nation" di Griffith e il "Quarto Potere di Orson Wells, il country e il blues, mormoni creazionisti e Cassius Clay. Non è un caso che tra i "trumpisti" che hanno dato l'assalto alla Capitol Hill fossero numerose le bandiere sudiste dei Confederati, quasi a significare il revanchismo proprio di chi vorrebbe riportare indietro l'orologio, al tempo delle Rossella O'Hara e della sua governante nera ghe barlava dudda gosì.

Ma quanto è avvenuto a Washington è spaventoso, e non mi viene altro aggettivo. Spaventoso al punto che riesce difficile darne ancora compiuta valutazione. So solo che mi riescono indigesti i variegati post facebookiani che la buttano a ridere, non foss'altro perché ci sono 5 morti di mezzo. Mi fermo qui, allora. Magari ne riparliamo quando l'attuale inquilino della Casa Bianca avrà finalmente sloggiato. Dopotutto, domani è un altro giorno.

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