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Kamala e Cécile


Ancora non era finita la conta dei voti americani che già era partita la beatificazione di Kamala Harris, almeno nella composita area di centromezzasinistra. D'altro canto la vicepresidente USA, figlia di immigrati e nera almeno quanto Obama, si presta a meraviglia per dar la stura ai pipponi del politically correct nostrano. Nessuno che provi a domandarsi se da noi una donna del genere potrebbe mai candidarsi per una carica istituzionale. Provo a darla io una risposta, riprendendo una storia che in molti hanno dimenticato. Cécile Kyenge, ministro nel governo Letta del 2013, fu definita "un orango" dall'allora vicepresidente del Senato Roberto Calderoli. La giunta per le immunità parlamentari deliberò a maggioranza che quella vergognosa espressione era "pensiero politico" e "insindacabile". Con i legafascioforzisti votarono un po' di quelli del PD e anche un pentastellato, poi la Corte Costituzionale ci mise una pezza e finalmente lo scorso anno anche la magistratura ordinaria riuscì a condannare Calderoli per "insulti razziali". Questo è lo stato delle cose, con buona pace dei pro-Biden dell'ultim'ora di casa nostra. Per arrivare a Kamala Harris abbiamo un oceano da attraversare, e non parlo solo dell'Atlantico.

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