La paura non fa più 90
Nell'era della globalizzazione dovrebbe essere normale rilevare come certi comportamenti siano massificati. Eppure non riesco a rimanere indifferente nel vedere come siamo tutti con la mascherina, in un emisfero e nell'altro. Tutti alle prese con gli stessi problemi, con le stesse preoccupazioni, con le stesse paure. Ed è appunto sulla paura che vorrei svolgere una riflessione in più, se vi va di seguirmi.
Della paura il vocabolario ci restituisce la seguente definizione: "Stato emotivo di repulsione e di apprensione in prossimità di un vero o presunto pericolo". Vero o presunto, attenzione. Il riferimento del passato che mi suggerisce a questo punto è quasi obbligato.
"La Gran Peur", la Grande Paura del 1789, è stato un fenomeno abbondantemente analizzato dagli storici dei "Cahiers" e riguarda l'ondata di ansia che attraversò la Francia nei primi mesi della Rivoluzione, dove le notizie degli avvenimenti parigini rimbalzavano amplificate e distorte da un punto all'altro di quelle campagne. "La Grand Peur" era figlia di una società dove non esistevano treni e telegrafo, dove le informazioni si spostavano con il tam-tam del passaparola e alla velocità di un cavallo.
Oggi mi sento di poter dire che la nostra paura è invece il prodotto di un 'eccesso' di comunicazione. Sono in tanti a dire la loro, anzi con i social ognuno di noi mette becco e il più delle volte senza gli strumenti conoscitivi necessari per farlo. La nostra paura è fatta di numeri, i numeri dei contagi, dei ricoveri, dei guariti, dei morti. I numeri di una colonnina di mercurio. La paura non fa più 90, ma 37 e mezzo.
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