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Il richiamo della sirena: URSS 51 USA 50


ULTIM'ORA - Golden State domina a Cleveland 108-85 e chiude le Finals senza sconfitte. Gli Warriors sono campioni NBA per il secondo anno consecutivo. ------------ E’ vero che la guerra fredda fu combattuta dappertutto tranne che sui campi di battaglia. Ed e’ verissimo che quel 9 settembre 1972 a Monaco la guerra fredda contrappose americani e sovietici su un campo di basket per una sfida che non necessitava di ulteriore tensione, a quattro giorni dalla tragedia dell’attentato terroristico agli atleti israeliani.

Doveva essere l’ottavo oro olimpico di fila per gli americani, 63 partite 63 vittorie da Berlino ’36 a Monaco. Invincibili, nonostante la partecipazione da sempre limitata ai ragazzi del college. Invincibili, ma preoccupati perche’ chiaramente dall’altra parte l’Unione Sovietica era una squadra esperta, di gente tosta (paradossalmente li conoscevamo meglio noi – italiani – perche’ la massiccia CSKA (che e’ il blocco della nazionale) era spesso sulla strada di Varese e Milano. E fra tanti buoni giocatori c’e’ una stella di prima grandezza, fuoriclasse puro: Sergej Belov, siberiano di 28 anni.

E’ che son tosti si conferma da subito: partita sorniona, sorprende la scelta del coach USA, Hank Iba, di non utilizzare l'arma piu' miciadile - la velocita' -, ma alla manovra compassata ed al punteggio basso i sovietici si adattano benissimo, avanti di 5 a meta’ gara (26-21), poi anche di dieci. Per gli americani e’ tutta salita, si fa male Brewer si fa cacciare Jones, eppure il cambio di strategia - pressing esasperato a tutto campo - porta risultati concreti, le certezze sovietiche vacillano e punto dopo punto la rimonta si concretizza a dieci secondi dalla sirena. Doug Collins (Illinois State University) intercetta una palla lunga di un altro Belov, Alexander - Sasha per tutti - e solo una manata intenzionale di Sakandelidze gli impedisce il canestro. Collins non sbaglia i due tiri liberi inevitabilmente concessi e rovescia il punteggio sul 50-49 per gli americani con tre secondi tre da giocare.

E qui la storia si intreccia e di brutto. La disperata rimessa sovietica finisce nelle mani degli avversari. L'allenatore sovietico si sbraccia, sembra che - fra i due liberi di Collins - abbia chiamato il time out, ma la richiesta non e' mai arrivata al tavolo degli ufficiali. L’arbitro brasiliano Renato Righetto decide per la palla ai sovietici ma un solo secondo da giocare dopo il time out finalmente concesso. I sovietici rimettono la palla in gioco senza riuscire ad arrivare al tiro per la gioia dei giocatori americani sul parquet, dei tifosi e dei network TV a stelle e strisce. Finita, anzi no. L'ennesimo colpo di scena si materializza con l'intervento del segretario della FIBA (il britannico R. William Jones) , che pur non avendo alcun ruolo arbitrale nella vicenda, decide per una nuova ripetizione dell'azione incriminata, una terza rimessa con cronometro di nuovo sui tre secondi. Fra incredulita' e caos, il coach sovietico Kondrashkin trova la lucidita' di chiamare la giocata: palla lunga di Ivan Edesko per Sasha Belov che da sotto canestro evita il ritorno di due difensori e realizza da sotto i due punti del nuovo - stavolta definitivo - sorpasso. Insopportabile beffa per gli americani, inevitabile ricorso pero’ respinto 3 voti contro 2 con le divisioni politiche che sembrarono incidere piu’ dei regolamenti: per gli USA il sostegno di Portorico ed Italia, al di la' della cortina di ferro Ungheria Polonia e Cuba confermarono la vittoria sovietica. Sul 2-2 il voto decisivo' tocco' all'ungherese Ferenc Hepp che l'ineffabile Jones aveva prontamente eletto presidente della giuria d'appello.

La delegazione USA diserto’ la cerimonia di premiazione senza mai ritirare la medaglia di argento. Per il coach Hank Iba al danno si aggiunse la beffa si scoprire di essere stato derubato del suo portafoglio con $370 mentre stava consegnando il ricorso alle 2 e passa del mattino. Sul podio si ritrovarono solo sovietici ed i cubani medagliati di bronzo: guerra fredda, freddissima, gelida. Quasi poi a fare da contraltare alla vittoria di Bobby Fischer (americano) contro Boris Spassky (sovietico) nell’incontro del secolo fra i due campioni di scacchi di solo qualche giorno prima nella assai piu' compassata Reykjavik.

Per finire, quattro pillole di curiosita' sui protagonisti dei tre secondi che sconvolsero se non il mondo, almeno la storia di quei giochi.

Alexander "Sasha" Belov, il Belov che prima d’allora nessuno conosceva e che non era nemmeno lontano parente del fuoriclasse Sergej, mori’ solo sei anni dopo, a 26 anni, per una rara forma di tumore cardiaco e senza che la famosa agenzia TASS confermasse ne’ smentisse le voci ricorrenti che davano Sasha in carcere, al momento della scomparsa, per un improbabile contrabbando di jeans.

L’altra leggenda Sergej Belov ha continuato a giocare e vincere, inanellando riconoscimenti anche laggiu’ dove, davanti a tanta classe, non sono riusciti ad odiarlo abbastanza da impedire di essere il primo non americano ad essere ammesso ad una delle piu’ prestigiose Hall of Fame degli USA. Tocco’ a Sergej accendere la fiamma olimpica ai Giochi di Mosca del 1980 e curiosamente fini’ per allenare in Italia, a Cassino nella nostra serie A2 all’inizio degli anni novanta.

Doug Collins la sua rivincita l’ha avuta con una straordinaria carriera da giocatore prima e da coach dopo con 27 anni di panchina NBA alla guida, fra gli altri, dei Bulls di Michael Jordan. Eppure quei tre secondi, ed il senso di ingiustizia, lo hanno accompagnato per tutta la sua carriera e non perde occasione che "quella e' la partita che vorrei rigiocare ora, almeno quei tre secondi".

Kenny Davis, un altro giocatore della spedizione USA, ha scritto a chiare lettere nel suo testamento che nessuno dei suoi eredi potra’ mai accettare la medaglia di argento, dopo la sua morte. Lo stesso Davis ad un'intervista a Sports Illustrated confido' : " piansi tutta la notte, da solo nella mia stanza. Ma ancora oggi quando penso a quella sconfitta, penso a cosa puo' essere la paura ed il dolore degli atleti israeliani e dei loro cari. Ci si puo' stare se nella tua vita la maggiore ingiustizia e' quella di una decisione sbagliata in una finale di basket".

© RADIO BELLA ETA'

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